LE FORME PROFANE

 

BALLATA

Composizione per canto e strumenti o soltanto strumentale, fu molto coltivata nell'800 da parecchi dei grandi maestri tedeschi (Schubert, Schumann, Loewe, ecc.).

La maggior parte delle composizioni sono polifoniche, ma non mancano esempi monodici (per es. tra le laude in forma di ballata). La ballata conobbe il massimo splendore con l’ars nova italiana, in particolare con F. Landini.

BALLETTO

 

Il balletto è simile alla villanella: come dice il nome si tratta di una composizione che, pur cantata, serve per essere ballata ed è perciò costruita su ritmi di danza. Allo stesso motivo si devono il notevole uso di crome, le ripetizioni di figure ritmiche uguali, il probabile raddoppio delle voci da parte di strumenti.

L’autore più noto è G. G. Gastoldi, i cui balletti sono a 3 e 5 voci.

CACCIA

Forma musicale tipica dell’ars nova italiana, in uso soprattutto nella prima metà del sec. XIV. Il nome non deriva dal soggetto del testo poetico, che descriveva lo svolgersi di una scena di caccia o di pesca o comunque improntata a un deciso carattere naturalistico, ma da chace, termine usato dall’ars nova francese per indicare il trattamento delle due voci superiori, che si imitano e si inseguono. Musicalmente la caccia ha infatti la forma di un canone a due voci, sostenute da un tenore per lo più strumentale, che consente effetti di eco e di dialogo. La struttura metrica dei testi, talvolta affine a quella del madrigale, con una strofa di ritornello, è spesso svincolata da schemi strofici per meglio adeguarsi al carattere impressionistico-descrittivo del soggetto.

CANZONETTA

Breve composizione polifonica di carattere semplice e leggero, che si affianca come genere popolareggiante alla fioritura aulica del madrigale cinquecentesco. E’ affine alle canzonette villanesche, alla villanella, alla composizioni alla madrigalesca, termini che designano un simile genere di composizione diffuso nella seconda metà del sec.  XVI. Il termine canzonetta fu usato da O. vecchi e da C. Monteverdi e comparve intorno al 1580; ebbe grande diffusione presso i madrigalisti inglesi. Nel sec. XVIII fu usato in Inghilterra per indicare una breve composizione di carattere leggero, che circola sia in antologie a stampa sia in spettacoli teatrali (come la celebre Beggar’s Opera, 1728, di J. Gay e J. C. Pepusch, che ispirò B. Brecht). Di questo tipo ne scrisse F. J. Haydn.

CANTI CARNASCIALESCHI

Sono ballate a 3 o 4 voci in stile omoritmico piuttosto semplice, che nella Firenze quattrocentesca - in particolare nel periodo mediceo - venivano cantati durante il carnevale delle mascherate sui carri: l’argomento era suggerito dalla maschere stesse, che mettevano in caricatura aspetti dei vari mestieri.

La forma metrica è simile a quella della ballata; vi appaiono divinità mitologiche, antichi eroi, personaggi simbolici, personificazione di mestieri. Ne sono arrivati fino a noi circa 400, quasi tutti caratterizzati da pesanti allusioni e doppisensi osceni. Sono per la maggior parte anonimi, ma ne scrissero anche poeti e letterati come A. Poliziano, L. Pulci, B. varchi, N. Machiavelli, il Lasca (che ne curò la prima raccolta, 1559). Il capolavoro è il Trionfo di Bacco e di Arianna del Magnifico, nel quale è perfettamente rispecchiato lo spirito della Firenze del ‘400. Come compositori si distinsero, fra gli altri H. Isaac, A. Agricola e A. Coppinus.

CHANSON (francese = canzone) termine usato nella storia della musica vocale francese per indicare vari tipi di composizioni, anche assai diverse tra loro. La prima forma di chanson fu il canto monodico dei trovatori e dei trovieri nell' XI-XIII sec. La chanson monodica si estese poi a tutto il XIV sec. assumendo il nome di cantilena, e fu caratterizzata dalla presenza di un accompagnamento strumentale. Contemporaneo allo sviluppo polifonico del mottetto, questo tipo di chanson introdotto da G. de Machault, nacque dalla subordinazione di alcune parti polifoniche (di solito due) a quella superiore e adottò varie forma fisse, in particolare quelle del rondeau e del virelai, forme che caratterizzano anche la chanson del XV secolo, coltivata da Dufay, da Binchois e dalla scuola borgognona. Verso la fine del XV secolo cominciò a delinearsi la chanson polifonica propriamente detta, che conobbe una diffusione europea; scrissero chansons polifoniche i maggiori maestri fiamminghi, da Ockeghem a Josquin Despres. Non più legata a forme fisse, essa presentò, analogamente al mottetto, una scrittura polifonica imitativa, con una certa predilezione per l'omofonia, e tese ad assecondare il ritmo del verso. Un aspetto particolare della chanson polifonica è costituito dal gusto per la descrizione, di cui offrono esempi le composizioni di C.Janequin evocanti battaglie, il canto degli uccelli, la caccia, ecc.

Con quest'autore e con i compositori contemporanei la chanson assunse un carattere brillante, di raffinata eleganza. Nella seconda metà del secolo XVI l'influsso del madrigale italiano fu particolarmente evidente, nelle chanson di Orlando di Lasso. Verso la fine del secolo, grazie anche all'influenza di Ronsard, dei poeti della Pléiade e dell'accademia fondata da J.A. Baif, si mirò a conseguire un più stretto rapporto tra musica e testo ed una maggiore intelligibilità delle parole, tentando inoltre di riprodurre l'andamento della metrica classica. L'affermarsi dello stile sillabico (una nota per ogni sillaba) e omofonico (tutte le voci procedono parallelamente con eguali ritmi) preluse all'avvento della monodia accompagnata, che si compì con l'art de cour e portò quasi d'improvviso all'estinzione della chanson come genere colto, favorendo lo sviluppo di una chanson dalle caratteristiche più semplici e popolareggianti, conservate anche XVII e XVIII secolo. Nella seconda metà del XIX secolo la chanson contribuì alla fortuna del caffè-concerto (fu allora chiamata anche chanson de variétés) e dell'operetta, e verso la fine del secolo raggiunse un alto livello grazie a interpreti (chansonniers) quali A.Bruant e Y.Guilbert. Nel medesimo tempo si assistette al risorgere della chanson monodica colta e di quella polifonica ad opera di Fauré, Debussy e Ravel. Dal canto suo la chanson popolare continua a mantenere, anche ai giorni nostri, una dignità artistica che la distingue nettamente da altri tipi di canzone europea.
 

FROTTOLA Frottola, barzelletta; fandonia, bugia, invenzione. Composizione, per solito a 4 voci, su testo popolaresco di carattere profano, coltivato in Italia nei secc. XV-XVI. Successivamente cedette il passo al madrigale.

Contemporaneamente alla maggior fioritura della chanson fiamminga, cioè negli negli ultimi decenni del ‘400, riprende vigore - soprattutto nelle corti dell’Italia settentrionale - la tradizione profana italiana, che dopo il grande periodo dell’Ars nova si era improvvisamente esaurita: da ciò la nascita e il fortunato sviluppo della frottola (il cui nome sembra derivare dal latino medievale “frocta”, unione disordinata di elementi diversi).

Il tipo di scrittura consentiva sia l’esecuzione a 4 voci (spesso con intervento di strumenti) sia a voce solista (che cantava la parte più acuta e liuto (che raccoglieva le parti inferiori). Fiorita alla corte di Mantova con M. Cara, B. Tromboncino e M. Pesenti, la frottola si diffuse presso le corti italiane centro-settentrionali. La sue fluida naturalezza rappresentò un importante apporto alla fioritura del madrigale cinquecentesco.
 

GIUSTINIANE  Componimento poetico in volgare con accompagnamento musicale, in voga nel ‘400; il termine deriva dal nome del creatore L. Giustiniani. D’argomento amoroso, abbinava al gusto popolaresco un raffinato intento letterario. Fu il genere musicale più praticato prima dell’avvento della frottola, ma se ne ebbero ancora esempi dopo il 1550 (A. Gabrieli, O. Vecchi, C. Merulo, A. Banchieri ecc.)
 
LIED

 

(Plurale Lieder) canzone popolare tedesca con testo di regola tedesco. Il termine, che correntemente designa una composizione per canto e pianoforte riferendosi soprattutto alla fioritura ottocentesca del lide, può avere significati diversi secondo le varie fasi della sua storia.

Canto monodico presso i minnesänger (che cantavano canzoni d’amore) - ma già in precedenza si era formato un repertorio di melodie popolari anche di carattere sacro, che dovevano sfociare fra l’altro nel corale luterano - con O. von Wolkenstein, all’inizio del ‘400, si avviò la tradizione del lied polifonico, basato su una melodia generalmente preesistente intorno alla quale si creavano nuove linee in un’articolata condotta polifonica. Agli inizi del ‘600 comparve il lied per voce e basso continuo, dall’impronta spesso popolaresca (Volkslied), e comunque caratterizzato anche in seguito da una linearità che lo distinse dallo stile virtuosistico della vocalità dell’opera italiana.

Dopo una parentesi di minor fortuna nella prima metà del ‘700, una nuova fioritura si ebbe dopo il 1750 in seguito agli ideali del barocco e alla rivalutazione dell’espressione semplice e popolare: anche nel lied scomparve il basso continuo e si affermò come strumento accompagnatore il pianoforte.
 

MADRIGALE

 

Nel sec. XI il termine indicava un componimento poetico di carattere popolare e di contenuto prevalentemente agreste (da qui la sua supposta derivazione etimologica da mandria). Con Petrarca questa forma, trasformata ed affinata, passò anche nella poesia colta. Il madrigale è un tipo di composizione vocale profana a più voci che ha conosciuto il massimo splendore dapprina nel sec. XIV e poi del XVI e la prima metà del sec. XVII. Si calcola che nel periodo compreso fra il 1530 e il 1650 siano stati dati alle stampe circa 2000 raccolte di madrigali, qualcosa come circa 35-40000 composizioni. Il madrigale del XIV - che è insieme con la caccia e con la ballata una forma dell’ars nova italiana - si distingue nettamente da quello fiorito nel corso del Rinascimento e del primo barocco. Di forma strofica, il madrigale trecentesco consiste di due sezioni musicali (una per le strofe e una per il ritornello); è a 2 o 3 parti, con spiccata preminenza di quella superiore (che si pensa affidata alla voce, mentre l’altra ole atre fungevano da sostegno musicale), ed è svolto nello stile di un conductus fiorito, prevalentemente omoritmico ma caratterizzato da ricche fioriture, che rivelano una raffinata sensibilità melodica (specialmente notevoli sono gli esempi di F. Landini).

Rinascimento e barocco. Il madrigale rinascimentale si sviluppa a cominciare dal 1530 dall’incontro tra il repertorio italiano della frottola, di impostazione armonico-accordale con prevalenza della voce superiore, e la sensibilità contrappuntistica dei maestri fiamminghi. Nel 1530 si pubblica infatti a Roma il Libro primo della Serena, Madrigali novi de diversi excellentissimi Musici: gli autori sono Verdelot, Festa, Arcadelt e altri, cioè fiamminghi per nascita o per formazione (Festa appunto).

La struttura strofica della frottola si trasforma in un organismo musicale aperto che si modella, momento per momento, sul contenuto sentimentale e immaginativo del testo. Quest’ultimo a sua volta abbandona il tono popolaresco e assume quello più raffinato della lirica illustre, sul modello di Petrarca. Nel rinascimento il madrigale ricerca un rapporto sempre più stretto, penetrante e incisivo tra parola e musica; se quest’ultima non rinuncia nei primi esempi (di C. Festa, P. verdelot, J. Arcadelt) alla ricerca di un’autonoma armonia architettonica, con A. Willaert, C. de Rore, P. de Monte, O. di Lasso tende a illustrare le più riposte sfumature del testo attraverso l’uso del cromatismo, del contrappunto, dell’armonia, del timbro. Mentre L. Marenzio (nelle prime opere) e C. Gesualdo portano la poetica del madrigale cinquecentesco a una sorta di lucido delirio manieristico, C. Monteverdi avvia la forma verso esiti completamente nuovi, attraverso l’uso dello stile concertato per voci e strumenti, della monodia e infine, come nel Combattimento di Tancredi e Clorinda, con l’ausilio della dimensione scenica. Il madrigale tocca così i più alti vertici estetici della sua storia, ma conclude anche (intorno alla metà del sec. XVII) l’arco del suo sviluppo. Certe sue caratteristiche (a cominciare dallo strettissimo rapporto tra dimensione verbale e dimensione musicale) passeranno in alter forme e in particolare in quella della cantata da camera.
 

MONODIA Canto ad una voce senza accompagnamento, praticato in gran parte della musica popolare nell'antichità e nel Medioevo; si contrappone alla polifonia. Dal secolo XVI in poi si disse monodia il canto ad una voce con accompagnamento strumentale anche elaborato, e stile monodico la sua pratica, sempre in contrapposizione a stile polifonico.
 
RISPETTO Forma poetico-musicale italiana affine allo strambotto, di origine popolare, particolarmente diffusa in Toscana; il soggetto è prevalentemente amoroso, la musica utilizza melodie popolari. Nel '400 il rispetto venne coltivato anche da letterati, che ne fissarono lo schema.
 
RONDEAU Forma musicale profana, derivata dal responsorio liturgico, propria del Medioevo francese, trattata prima monodicamente (dai trovieri nel sec. XIII), poi polifonicamente (sino al sec. XV). Caratterizzato dal costante riapparire di un refrain e da testi di contenuto amoroso, passò gradualmente dal genere cantato-danzato al canto puro, al canto accompagnato.
 
RONDELLO

 

Termine di origine medievale che indica una forma musicale simile al rondeau, usato con tale significato sino al sec. XV, quando fu utilizzato per definire una composizione polifonica (rota) i cui elementi si sovrappongono, ma hanno alla loro base un refrain.
 
ROTA

 

Antica forma polifonica in uso a partire dal sec. XIII in Inghilterra come tipo di canone (round), presente in celebri canti come Summer is icumen in. In Italia nel sec. XVI indicava un tipo di danza veloce in ritmo doppio ternario.
 
STRAMBOTTO

 

Forma polifonica profana, tipica del '400 italiano. È una delle forme collaterali della frottola, di cui condivide la scrittura musicale (prevalenza della voce superiore, accompagnamento accordale) e il raro equilibrio tra cordialità popolaresca e raffinatezza cortigiana. Lo strambotto è composto in genere da una ottava di endecasillabi, in cui la melodia dei primi due versi viene ripetuta per i tre distici seguenti. Si dà anche il caso di una variante melodica sull'ultimo distico.Lo strambotto caratterizzò la produzione vocale profana italiana del sec. XV.
 
VILLOTA

 

Composizione polifonica vocale diffusa, specie nell’Italia settentrionale, tra la fine del sec. XV e la prima metà del sec. XVI. Basata su testi poetici di carattere popolaresco (costituiti da una quartina o da una sestina, seguite da una sezione conclusiva denominata nio), è caratterizzata da un’alternanza di passi omoritmici e di sezioni in serrata scrittura polifonica. variante della frottola, fu soppiantata nel secondo ‘500 dalla villanella e dalla canzonetta, di tono più elegante e di scrittura più raffinata.

Fu trattata da musicisti italiani e stranieri. Lungo il sec. XVI fiorirono poi villote alla veneziana, alla napoletana, mantovane, padovane, ma dopo il 1560 divenne più usato per questo genere musicale il termine di "villanella".
 

VILLANCICO Composizione poetico-musicale tipicamente spagnola, diffusa anche in Portogallo e in America Latina. E’ costituita da diverse strofe (coplas) alternate ad un ritornello (estrebillo). Questa caratteristica formale costituisce l’elemento permanente di una progressiva trasformazione del carattere del villancico. Originariamente monodico (secc. XII-XIII), divenne polifonico (sia pure con prevalente scrittura omoritmico-accordale), per acquisire nel Rinascimento una scrittura per voce sola accompagnata dal liuto. Con il sec. XVII si trasformò in un’ampia composizione di carattere spirituale con caratteristiche analoghe a quelle della cantata sacra: le strofe assunsero carattere di arie solistiche, i ritornelli quelli di episodi corali.
 
VILLANELLA

 

Se lo spirito del madrigale, fin dall’inizio si identifica con la raffinata eleganza della poesia petrarchesca, è ovvio che gli accenti amorosamente gai, burleschi, arguti già incontrati nella frottola non trovino accoglienza nel madrigale, e diano quindi vita a un genere musicale autonomo, la villanella.

Il nome indica già il carattere popolare di questa forma, la sua rustica semplicità che a volte scade, negli autori minori, in atteggiamenti parodistici di facile effetto: è chiamata anche canzon villanesca alla napolitana, che infatti nasce a Napoli diffondendosi poi in tutta Italia. I primi autori napoletani (Giovanni Tomaso Di Maio, Tomaso Cimello, Giovanni Domenico Da Nola) seguiti poi da Willaert, Corteccia, Lasso e altri, e in dialetto napoletano sono in un primo momento i testi.

La poesia, popolaresca e sovente dialettale, tratta argomenti dal sentimentale al comico; la musica, preferibilmente a tre voci, fra le quali domina la soprana, è spiccatamente orientata verso l'omoritmia trattata con gustose libertà di scrittura rispetto allo stile d'arte. Spesso è scandita a ritmo di danza. Composero villanelle anche illustri polifonisti, tra cui Luca Marenzio.

Nella fase estrema della sua evoluzione (quando fu trattata da autori della statura di L. Marenzio e di O. di Lasso) divenne una sorta di madrigale in miniatura, senza rinunciare mai alla leggerezza degli argomenti trattati nei suoi testi poetici e alla trasparenza della tessitura contrappuntistica.
 

VIRELAI Forma poetico-musicale, particolarmente coltivata dai trovieri, in lingua d’oïl. Si compone di un numero variabile di stanze (di solito 3) articolate in refrain, strofa e volta; la struttura poetica, con schema A (r(refrain), B (strofa), A (volta). Alla struttura del virelai si ispirò quella della ballata italiana e del villancico spagnolo. Originariamente monodico, il virelai sopravvisse in versioni polifoniche (in uso dal sec. XIV) sino alla fine del ‘500.
 
   

LE FORME SACRE

 

CANONE Composizione musicale in cui due o più voci ripetono lo stesso motivo, riprendendolo le une ad una certa distanza dalle altre: si tratta dell’applicazione sistematica del principio dell’imitazione. La parte che dà inizio al canone è chiamato dux, o antecedente, quella (o quelle) che la imita comes, o conseguente.

I vari tipi di canone possono essere classificati secondo i rapporti di intervallo tra antecedente e conseguente (alla quarta, alla quinta, all’unisono ecc., in relazione all’intervallo che corre tra la prima nota del dux e la prima del comes), o secondo i particolari artifici con cui si applica l’imitazione (per aumentazione o diminuzione; per moto contrario, o inverso, cioè invertendo la direzione degli intervalli; retragrado, cioè partendo dall’ultima nota alla prima ecc.).

Forme di canone sono già nella polifonia medievale, con la rota, o rondellus, e la caccia la forma è applicata con particolare frequenza e complessità nella polifonia fiamminga e nei secc. successivi è di uso comune.
 

CLAUSOLA

 

Composizione polifonica della scuola di Notre-Dame, a due voci (talvolta a tre), di cui si attribuisce l’invenzione a Perotinus. Era destinata a sostituire in parte gli organa di Leonius, la cui lunghezza poteva essere eccessiva in alcune circostanze liturgiche. Ebbe una parte importante nella formazione del mottetto. Nella musica polifonica del sec. XVI la clausola era una formula cadenzale.
 
CORALE Canto liturgico di comunità religiosa. In particolare, canto religioso adottato da Lutero e rimasto in uso nelle Chiese riformate. Il testo, per lo più biblico, intonato dai fedeli a una voce, ha un accompagnamento generalmente a 4 voci.

I primi Kirchenlieder risalgono al periodo precedente la Riforma (Katolische Kirchenlieder) e sono canti monodici composti espressamente o derivati da melodie gregoriane o popolari, il cui testo - ricavato dalla Bibbia - è in tedesco. Lutero, continuando questa pratica, aumenta il numero delle melodie - prendendole soprattutto dalla tradizione popolare - ne crea delle nuove, le definisce liturgicamente: il fine di tutto ciò è quello di favorire la diretta partecipazione dei fedeli al culto.
 

DISCANTO Una delle prime forme di polifonia, nata nel medioevo tra il sec. XII e il XIV. In origine a due voci, la seconda delle quali accompagnava il "cantus firmus", poi a tre e quattro voci. Una voce di moto contrario all'andamento uniforme si aggiungeva al canto e si collocava al di sopra di esso. Fu una primitiva forma di contrappunto che aprì le porte alla polifonia propriamente detta. Con tale termine si indica anche la parte soprana di una polifonia.
 
GOSPEL SONG ingl=canto del Vangelo, canto religioso dei neri, nato nelle città nordamericane nel XVIII sec., caratterizzato dall'alternanza delle frasi cantate dal ministro del culto e con quelle del coro dei fedeli. É tuttora diffuso nelle cerimonie religiose battiste. É stato ripreso da cantanti come Ray Charles e da jazzisti.
 
GREGORIANO Canto monodico liturgico proprio della Chiesa romana d’Occidente a partire dal sec. VI circa. Assunse il nome di gregoriano in base a una tradizione, risalente al sec. IX, che attribuiva a papa Gregorio Magno (535-604), oltre alla riforma dei libri liturgici, la sistemazione e l’ordinamento del repertorio delle melodie in un Antiphonarium e la formazione a Roma di una Schola Cantorum.

Tuttavia non è possibile documentare negli scritti e nelle fonti dell’epoca di Gregorio un suo interessamento alla musica, non esistendo ai suoi tempi libri con notazione musicale; l’attribuzione a Gregorio dell’opera di sistemazione riflette la grande autorevolezza che possedeva nel Medioevo la sua figura e poteva essere strumento per rendere indiscutibile un repertorio ufficiale.

Il canto gregoriano basa i suoi testi sulle Sacre Scritture e comprende circa 3.000 melodie, per lo più anonime e risalenti a epoche diverse (fra il IV e il IX sec.), influenzate dalla musica ebraica, bizantina e francese. La teoria dei canti gregoriani, di origine bizantina, prevede un insieme modale costituito da otto scale, da cui derivano quattro modi «autentici» e quattro «plagali» (una quarta sotto gli «autentici»). Dapprima esclusivamente orali, dal IX sec. le composizioni gregoriane vennero notate attraverso neumi e poi sui righi musicali (notazione diasistematica). Questi canti ispirarono i trovatori provenzali e i trovieri della Francia settentrionale, i Minnesänger tedeschi, fino ai compositori di laude italiani e galizio-portoghesi; inoltre il loro materiale melodico fu per lungo tempo base della polifonia sacra e della musica organistica cattolica.

Il canto gregoriano ha avuto una grande importanza nella tradizione musicale europea, influenzando la monodia medievale (trovatori, laudi, ecc.) ed entrando nella polifonia sacra medievale e rinascimentale sotto forma di cantus firmus.

 

FALSO BORDONE Tecnica di canto liturgico adottata prima in Francia (faux-bordon) a partire dal XV secolo e poi, dal XVI secolo, utilizzata anche in Italia. Consisteva nell'alternare sezioni monodiche del canto gregoriano a sezioni polifoniche corali, nelle quali la melodia liturgica era armonizzata a tre o quattro voci.

Consiste nell’andamento parallelo di 3 voci che formano accordi di terza e di sesta.
 

FUGA

 

Composizione polifonica monotematica, che si fonda sulla concomitanza di varie parti o voci che ripetendo e intrecciando variamente il tema o frammenti di esso sembrano inseguirsi fuggendo (onde il nome). Il tema consta di un soggetto principale, una risposta, un controsoggetto, tra i quali si inseriscono e alternano episodi e divertimenti, una stretta, con un pedale, conclude la composizione. La fuga ebbe origine dal canone a più voci e fu trattata magistralmente da Frescobaldi, Kreiger, Fux, Bach, che la portò a grado eccelso; poi, diversamente, anche da Mozart, Beethoven, Mendelssohn, Franck e altri.
 
INNO Nell’antica Grecia l’inno è il canto di lode agli dei o agli eroi, nella liturgia cristiana è il canto di lode a Dio: la pratica di cantare inni inizia nel IV secolo con S. Ambrogio, il quale li propone come i canti più adatti alla partecipazione del popolo al rito, in quanto sono poemetti strofici che comportano una melodia sillabica di facile apprendimento. Vengono cantati nelle ore dell’Ufficio o durante le processioni.

Nel gregoriano la melodia è unica per tutte le strofe. Nella composizione rinascimentale invece, le strofe hanno indipendenza di trattamento contrappuntistico e si alternano a quelle gregoriane.

L’alternanza può avvenire in due modi: o sono polifoniche le strofe pari e gregoriane quelle dispari (così usa per es. Da Victoria); o viceversa sono contrappuntistiche le dispari, ma in questo caso l’incipit, cioè il primo verso della prima strofa, è lasciato al gregoriano (così usa per es. Palestrina).

L’esecuzione delle strofe polifoniche era affidata al coro, quella delle strofe gregoriane alla schola.
 

LÀUDA

 

Componimento poetico religioso, che nei secc. XIII e XIV era cantato in coro nelle processioni, da confraternite chiamate laudesi. Sono una diretta continuazione dei ritmi latini che venivano cantati durante le funzioni liturgiche. Le prime laudi in volgare furono scritte in Umbria all'inizio del sec. XIII ("Cantico di frate sole" di Francesco d'Assisi). In seguito si affrancarono dalla liturgia, diffondendosi tra le confraternite di laici. Il più importante codice conservato è il "Laudario cortonese" (1270-80). Si trasformò poi in vero e proprio genere letterario, ricordiamo le prove di F.Belcari, Lorenzo il Magnifico, L. Giustinian.

Nata come composizione a intonazione monodica, a partire dall’inizio del sec. XV la lauda è trattata in stile polifonico, in intonazioni a 3 o 4 voci che presentano molti punti di contatto con la struttura omoritmo-accordale, tipica della frottola, con decisa prevalenza della voce più acuta.

Ampiamente diffusa nell’ambiente controriformistico romano del secondo ‘500, specie nelle confraternite spirituali sorte sulla scia della predicazione di s. Filippo Neri, la lauda vi conobbe le sue ultime trasformazioni: prima in lauda drammatica, basata su testi dialogici, successivamente, all’inizio del ‘600, attraverso l’accoglimento dello stile monodico, in oratorio.
 

MESSA Dal latino missa, derivato dalla formula con la quale si chiude la celebrazione del massimo ufficio divino: ite, missa est. Il rito comprende parti fisse (ordinarium missae: Kyrie-Gloria-Credo-Sanctus-Benedictus-Agnus Dei) uguali in tutte le celebrazioni della messa e parti mobili (proprium missae: Introitus-Graduale-Tractus-Offertorium-Communio) variabili di giorno in giorno.

Da tempo antichissimo e probabilmente sin dalla loro prima apparizione, tutte le parti della messa furono cantate, pur se per lungo tempo le sezioni del proprium ebbero, anche sotto il profilo musicale, maggiore importanza che non quelle dell’ordinarium. A iniziare dal sec. XIII, alla tradizionale intonazione in canto gregoriano si affiancarono interpretazioni polifoniche di isolati brani del proprium e, successivamente, dell’ordinarium nello stile dell’organum e, in seguito, della clausola e del mottetto.

Dalla prima metà del ‘600, alla messa fu applicato il nuovo stile concertante per voci e strumenti, anche se la tradizionale tecnica polifonica a cappella (il cosiddetto ‘stile antico’ o ‘osservato’) continuò ad essere utilizzato in pratica sino ai nostri giorni. Tra le messe celebri (non più destinate all’uso liturgico) si annoverano la Messa in si minore di J. S. Bach, numerose messe di W. A. Mozart, di F. J. Haydn e di L. Cherubini, la grandiosa Missa Solemnis di L. van Beethoven, diverse messe di F. Schubert, F. Liszt, C. Franck, C. Gounod, A. Bruckner e, in tempi più recenti, di E. Satie, F. Poulenc, I. Pizzetti, A. Casella, G. F. Malipiero, I. Stravinskij ecc. Un tipo particolare di messa è la messa da Reqiuem (o missa pro defunctis). Tra gli esempi più celebri sono da annoverare le messe di Pierre de La Rue, C. de Morales, Palestrina, O. di Lasso, T. de Victoria, quella incompiuta di Mozart (K. 626) e quelle di Cherubini, Bruckner, Verdi, Saint-Saëns, Fauré.
 

MOTTETTO Termine (etimologicamente derivato dal francese mot, ‘parola’, donde l’italiano motto) che designa una composizione musicale a più voci di carattere assai vario nelle successive fasi di sviluppo. Il mottetto costituisce, insieme con la messa, la più importante forma di musica sacra del periodo compreso tra i secc. XIII e XVI, anche se la sua storia, assai più ampia giunge fino ai giorni nostri. La varietà di strutture compositive assunte dal mottetto nel lungo arco del suo sviluppo non permette di darne una definizione unitariamente comprensiva: generalmente si fa riferimento al mottetto rinascimentale, cioè a una composizione per coro misto (a 4 o più voci) a cappella su testo sacro latino, usata nel rito cattolico specialmente nella liturgia dei Vespri.

Medioevo e Rinascimento. Il mottetto nacque nel sec. XIII attraverso l’aggiunta di un testo alle voci superiori della clausola. Caratteristiche del mottetto in questa prima fase sono la presenza di un cantus firmus di origine liturgica (di norma una melodia gregoriana); l’uso di diversi ritmi per le varie voci (poliritmia); l’uso di diversi testi, anche in diverse lingue, di carattere sacro o profano, intonati contemporaneamente (politestualità). La successiva elaborazione del mottetto nel sec. XIV vede un notevole ampliamento delle sue dimensioni e una maggiore complessità della sua struttura, anche attraverso l’introduzione di procedimenti che sfiorano la compiacenza manieristica, quale l’isoritmia, prediletta, nei suoi mottetti, da Guillaume de Machault. Mentre quest’ultimo e i suoi contemporanei avevano usato il mottetto indifferentemente come forme sacra e profana, i compositori fiamminghi del secolo successivo utilizzarono il mottetto soprattutto nell’ambito liturgico, trasformandone contemporaneamente in maniera radicale la tecnica compositiva: il mottetto abbandonò progressivamente l’uso del cantus firmus e della politestualità e stabilizzo una struttura polifonica da 4 a 6 parti con trattamento paritetico delle varie voci. Per quanto si riferisce ai rapporti tra musica e testo, il mottetto si configurò come una composizione articolata in un numero di sezioni concatenate pari a quello dei versetti componenti il testo. A ciascun versetto corrispondeva una frase melodica proposta da una singola voce e ripresa per imitazione da tutte le altre; l’esaurimento dell’interesse contrappuntistico determinava la proposta di una nuova idea melodica e il passaggio a un nuovo episodio della composizione. A questa tecnica si attennero i più grandi compositori di mottetti del Rinascimento (J. Després, Gombert, P. de Monte, O. di Lasso, A. e G. gabrieli, G. P. da Palestrina, Morales, Victoria, Tallis, Byrd, Senfl, Handl, Hassler, Goudimel, Regnart, ecc.).

Dal sec. XVII ai giorni nostri. Con l’inizio dell’epoca barocca, al mottetto furono applicate le risorse del nuovo stile concertante: la monodia, il basso continuo, l’accompagnamento di strumenti melodici o di gruppi orchestrali. La forma utilizzò indifferentemente lo stile corale o la scrittura per voci sole, spesso alternando le due soluzioni. mentre nell’area cattolica il mottetto continuò a essere in lingua latina, in Germania si plasmò alle esigenze della liturgia riformata, confluendo nella cantata sacra in tedesco,. In pratica tutti gli autori che nei secc. XVII e XVIII si accostarono al repertorio religioso scrissero mottetti. L’importanza della forma andò rapidamente scemando a partire dal romanticismo, nonostante isolati capolavori di mendelssohn, Schumann, Brahms, Liszt, bruckner, ecc. Successivamente il termine cessò di designare una forma specifica, limitandosi a connotare una composizione di carattere sacro o solo genericamente religioso o spirituale, su testo latino o in altra lingua moderna. Nel ‘900 hanno composto mottetti, fra gli altri, Reger, Hindemith, Pizzetti, Ghedini, Petrassi, Poulenc, Messianen, Stravinskij e Schömberg.
 

ORATÒRIO Denominazione generica in uso fin dal XVI sec. per definire una vasta ed eterogenea produzione di forme dialogico-musicali di carattere contemplativo, che deve essere eseguita in sale da concerto o anche in chiese, senza scene, senza costumi e senza azione drammatica rappresentativa. Questa forma nacque a Roma in epoca controriformistica su testi in volgare o in latino tratti dalla Bibbia o dalle vite dei santi. Venne composta per soli coro e orchestra, spesso affine all'opera in musica. Si attribuisce la paternità di questo genere a G. Carissimi, seguito da Mazzocchi, Stradella, Perti e Legrenzi. Nel XVIII sec. vi sono invece figure come Zeno e Metastasio e le musiche di Vivaldi, Scarlatti, Marcello, Pergolesi, Boccherini, Cimarosa. Dall'Italia si diffuse in Francia e in Germania dove culminò con l'opera di J. S. Bach "O. di Natale", 1733-1734, e concretizzata nell'opera di F. J. Haydn, modelli che vennero utilizzati da tutti i più celebri musicisti dei secoli successivi. Fra i moderni Honesser, Hndemith, Stravinskij.
 
ORGANUM Nome generico della primitiva forma di polifonia occidentale, sorta intorno al IX sec., evolutasi fino al XIII sec., ovvero fino alla scuola di Notre-Dame. Fu in origine a due voci, nata dalla consuetudine di raddoppiare, nota contro nota, una melodia del repertorio gregoriano (vox principalis) con un'altra liberamente inventata (vox organalis). Diventò poi una composizione da 2 a 4 voci nella quale permane e si amplia ulteriormente il rapporto tra le note della vox principalis e quelle delle melodie superiori.

Il nome organum (che deriva secondo alcuni da organare, nel senso di organizzare le parti polifoniche, secondo altri dall’imitazione di procedimenti usati sull’organo) viene applicato alle primissime forme tramandate di contrappunto nota contro nota, per quarte, quinte od ottave parallele, o per moto obliquo.
 

SPIRITUALS (Negro Spirituals Songs, Canti Spirituali neri), canti popolari dei Neri degli Stati Uniti d'America. Gli argomenti sono per lo più tratti dalla Bibbia, mentre la musica coniuga elementi tipici dei canti religiosi anglosassoni, con melodie di origine africana. La prima raccolta di spirituals fu pubblicata nel 1867 in America, ma l'Europa li conobbe a partire dal 1871, attraverso una celebre tournée dei Fisk Jubilee Singer.
 
TROPO Forma poetico-musicale liturgica sviluppatasi dal sec. IX al XIII. Nacque attraverso l’inserzione di nuove sezioni testuali nel corpus di testi liturgico-musicali codificati da Gregorio magno e si sviluppò poi in composizioni poetiche di largo respiro, dotate di piena autonomia. L’invenzione è tradizionalmente attribuita al monaco di S. Gallo Tutilone (m. ca 915). Le melodie furono ricavate da preesistenti canti gregoriani melismatici (ai quali il nuovo testo veniva adattato facendo coincidere ogni nota con una sillaba) ovvero liberamente inventate. I tropi ebbero un’importanza fondamentale nella storia della poesia e della musica medievale: collegate direttamente a essi furono le sequenze; dal tropo dialogato prese avvio il dramma liturgico e lo stesso movimento trobadorico fu secondo alcuni studiosi largamente debitore all’esperienza del tropo. I tropi furono completamente banditi dal Concilio di Trento.