Il
nome forse deriva da Ripa Albella, vale a dire Ripa bianca, dal biancore delle
terre tufacee e sabbiose che costituiscono la cima della collina. Nei documenti
medievali e fino al ‘600 il nome è infatti “Ripalbella” oppure “Ripabella”.
Il territorio di Riparbella risulta abitato fin da epoca antichissima. Faceva
parte dello Stato Etrusco e di quel Popolo seguì le vicende. Sono state
scoperte tombe con suppellettili funerarie sia di epoca Etrusca che Romana. È
ben certo che il centro più importante fosse Belora.
1125
primo documento storico che menziona Riparbella.
Il
primo vero documento che parla di Riparbella, fu redatto in Pisa il 14 Settembre
1125, e fa riferimento a una lite nata tra il pievano di Vallinetro e certi
monaci di Riparbella, forse benedettini, che avevano il monastero a metà strada
per il paese, in una località ancora oggi chiamata “Poggio ai Frati”.
1150 circa
Potere ecclesiastico e temporale dell’arcivescovo di Pisa.
Nel corso del primo secolo dopo il mille l’arcivescovo
di Pisa riuscì a comprare le terre di Riparbella e di molti castelli intorno, e
in questo periodo ottenne su queste terre non solo la giurisdizione
ecclesiastica, ma anche quella temporale, compreso il diritto di infliggere pene
pecuniarie e corporali, fino alla pena di morte.
1345
Rivolta dei castelli contro Pisa
Riparbella non partecipò alla rivolta dei
castelli dei conti di Montescudaio-Della Gherardesca contro la Repubblica di
Pisa.
1406
Sottomissione alla Repubblica di Firenze.
Sottomissione alla Repubblica di Firenze, sette
anni prima che Pisa stessa cadesse sotto il dominio fiorentino.
1456
L’arcivescovo di Pisa lascia il territorio comunale a disposizione della
comunità di Riparbella.
L’arcivescovo
di Pisa, ancora formalmente proprietario delle terre, aveva lasciato tutto il
territorio comunale a disposizione “degli uomini della comunità di Riparbella”
che vi avevano il diritto di pascolo. Inoltre le singole famiglie possedevano
degli appezzamenti di terra, di solito vicini al castello. L’uso comunitario
delle terre assicurava una relativa stabilità delle condizioni di vita a tutta
la popolazione del castello.
1477
Occupazione da parte delle truppe di
Alfonso di Aragona, re di Napoli.
Occupazione da parte delle truppe di Alfonso di
Aragona, re di Napoli – che nella guerra contro Firenze devastarono i castelli
della Val di Cecina, ma già l’anno dopo fu riconquistata dall’esercito di
Firenze.
1488
Primi statuti del Comune.
Il comune si diede i primi statuti che
regolavano gli affari interni della comunità. Si stabiliva che l’amministrazione
comunale doveva essere diretta da due consoli, estratti a sorte da una borsa,
che conteneva i nomi di tutti gli uomini del Comune sopra i vent’anni. I
consoli rimanevano in carica per sei mesi. Essi erano affiancati da un Consiglio
Comunale composto da ventiquattro uomini, estratti da un’altra borsa che
conteneva un nome per ogni famiglia. Le votazioni avvenivano mediante fave nere
e bianche (rispettivamente per il no, e per il sì) e questa era la regola per
tutto il territorio di Firenze.
Un’altra carica importante era quella del
camerlengo, una specie di tesoriere o ragioniere del Comune, che amministrava i
soldi.
Altre magistrature comunali erano quelle del
campaio, una specie di guardia campestre, del cappellano o maestro di scuola e
del barbiere, che per un certo tempo faceva anche da chirurgo.
Gli statuti definivano i confini dei pascoli
comunali, stabilivano quante bestie ogni famiglia potesse mandare sui pascoli e
fissavano il canone annuo da pagare, ecc.
Secolo XVI
Inizia il processo di privatizzazione delle terre.
Comincia un processo di privatizzazione delle
terre, che portò gradualmente alla diminuzione delle aree comunitative. Il
Comune, anche se formalmente non avrebbe potuto, aveva concesso alcuni terreni a
“terratico”, cioè dietro pagamento d’affitto, a provati, per il
disboscamento e la semina. Si ebbe così una progressiva restrizione dei pascoli
a disposizione della comunità.
Fine del XVI
sec.
Costruzione a Cecina della Ferriera della Magona.
Venne eretta a Cecina la Ferriera della Magona
con il grande forno al quale erano, per decreto, riservati tutti i boschi nei
dintorni. Questa riserva investiva anche i boschi del territorio di Riparbella.
D’allora in poi fu vietato tagliare la legna, se non per uso combustibile
della ferriera; inoltre nei lotti tagliati il pascolo era vietato alle vacche
per cinque anni e alle capre per dieci per favorire la crescita degli alberi.
XVII secolo
Malaria e peste.
Le condizioni andavano via deteriorandosi,
soprattutto a causa della diffusione della malaria e dello scoppio della grande
epidemia di peste del 1630.
1635
Infeudazione del paese.
In quell’anno i Medici consegnarono la
comunità in feudo ad Andrea Carlotti di Verona, “cameriere” di Sua Altezza
Reale e “coppiere” della granduchessa, che veniva insignito del titolo di
marchese di Riparbella. L’infeudazione comprometteva gravemente la vita
comunitaria, anche se gli statuti restavano in vigore, solo che il Consiglio
Comunale era ora presieduto da un podestà del marchese. L’amministrazione si
rivelò estremamente negativa e portò il paese in uno stato deplorevole. Alla
fine de Marchesato del Carlotti, nel 1736, Riparbella contava solo 258 abitanti.
1737
Vendita del feudo al senatore
Carlo Ginori di Firenze.
I Carlotti vendettero il feudo al senatore Carlo
Ginori di Firenze, che poi lo unì alla sua tenuta di Cecina. Le richieste che
il Comune presentò al nuovo padrone sono assai indicative per la situazione del
paese: condurre in piazza una fonte buona di acqua potabile; dare agevolazioni a
chi volesse immigrare a Riparbella; cedere i restanti pascoli a titolo di
affitto perpetuo ai contadini; riformare il sistema delle tasse.
1755
Abolizione dei feudi in
Toscana.
In seguito all’abolizione dei feudi in
Toscana, Riparbella tornò alle dirette dipendenze del granduca e venne
assegnata alla podesteria di Chianni. Durante tutto il XVIII secolo, le famiglie
benestanti erano riuscite a concentrare nelle loro mani un numero sempre
crescente di proprietà terriere. In primo piano erano i Mastiani e i
Baldasserini, che avevano usurpato una notevole parte dei territori granducali.
1787
Riforma agraria leopoldina.
La riforma agraria leopoldina prevedeva l’allivellazione
dei terreni granducali e degli enti religiosi, per arrivare a una distribuzione
capillare delle terre.
Niccolò Giusteschi comprò in blocco tutte le
possessioni granducali nel territorio per poi rivenderle per proprio conto ai
notabili del paese. In conseguenza di questo fatto poco o niente arrivò nelle
mani dei contadini o dei mezzadri.
1817
Riforma dei sistemi amministrativi.
Si riformarono i sistemi amministrativi e a capo
del Comune venne posto un gonfaloniere, nominato dal granduca, affiancato da due
priori e sei consiglieri. Dopo due secoli di dominio feudale, la comunità
registrò una ripresa, si costruirono nuove case.
1836
Epidemia di colera.
A Riparbella si verificò un’epidemia di
colera, malattia provocata dal consumo di acqua infetta, che causò molte
vittime e si ripetè anche nel 1855.
1838
Visita del granduca Leopoldo II.
Il paese ricevette una visita del granduca
Leopoldo II che suggerì la costruzione di una nuova chiesa, capace di contenere
tutta a popolazione, e mise a disposizione anche i finanziamenti. I lavori
vennero iniziati nel 18 41 e terminati nel 1845. Si tratta dell’attuale chiesa
parrocchiale di San Giovanni Apostolo ed Evangelista, che venne costruita al
posto della vecchia chiesa.
1846
Il terremoto.
Un terribile terremoto si abbatté su tutta la
zona costiera e la chiesa parrocchiale, terminata l’anno precedente fu
gravemente danneggiata. Anche gli altri oratori erano lesionati e l’unico
altare agibile fu collocato sotto la loggia dell’oratorio della Madonna. Le
137 case del paese erano tutte danneggiate, i morti erano quattro, quattro anche
i feriti gravi.
1882
Cambio dei confini comunali.
Il territorio di Collemezzano e della Cinquantina venne scorporato dal Comune di
Riparbella e annesso a Cecina.
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