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Il terzo giorno ci siamo alzati di buon mattino e, dopo un’altra sostanziosa colazione, ci siamo avviati a prendere l’autobus,  per affrontare un’altra impegnativa giornata.

L’avventura del giorno era l’escursione all’Isola di Pianosa.

Abbiamo percorso il perimetro dell’Elba, fino a Marina di Campo, situata a 14 km di distanza da Pianosa. Lì siamo saliti su una motobarca e abbiamo preso il mare, che quella mattina era semplicemente fantastico.  
Dalla costa l’isola appare come una tavola sul mare, perché al contrario di Giannutri, Montecristo, Gorgona, Giglio, Capraia e la stessa Elba, è priva di montagne. Il punto di maggiore altitudine è uno scoglio  Scola vicino alla costa (32 m).

La traversata è tranquilla e, fra scherzi e dormite, attracchiamo all’unico paesino dell’isola, Pianosa.  

Il paesaggio che si presenta è a dir poco mozzafiato.

L’acqua è cristallina, così limpida che sembra che non ci sia neanche. E’ il regno dei pesci e dei coralli, e soprattutto  della tranquillità. Pianosa ha una forma all’incirca triangolare, costituita in gran parte da calcare conchiglifero pliocenico, poggiante su marne mioceniche e da panchina quaternaria.

L’isola è ricca di acqua, lo testimoniano, gli alberi di fico rigogliosi e i numerosi pozzi, sebbene sull’isola piova pochissimo. E’ in corso di studio la teoria che le sue falde siano collegate alla Corsica: quando ad esempio su questa isola maggiore c’è il disgelo, si alza di molto il livello delle falde di Pianosa.

Raggiunta dall’uomo all’epoca della glaciazione, quando il livello del mare era più basso di circa 100 metri e  questa terra, con l’isola d' Elba, era unita al continente. Fu abitata nel Neolitico e in seguito fu dominio dei Romani. Ciò è testimoniato dalla presenza della villa di Agrippa, nipote dell’imperatore Augusto, esiliato lì per motivi politici e, sempre sull’isola, trascorse gli ultimi sette anni della sua vita. Nel Medioevo appartenne a Pisa, quindi a Genova e poi agli Appiani signori di Piombino.

Nel 1553 i Saraceni ( Dragut e Kara Mustafà) occuparono l’isola e ne fecero prigionieri gli abitanti. Da allora l’isola rimase disabitata.

Ritornata sotto il dominio granducale riprese a popolarsi dal 1856, anno in cui venne istituita la colonia penale agricola di Pianosa.

I detenuti erano costretti ai lavori forzati  nei campi e per l’allevamento (questo testimonia l'alta percentuale di zecche presenti nei campi ).

Nel 1861 i carcerati ammontavano a 149, nel 1862 fu costruito un carcere capace di contenere 350 persone; nel 1880 l’isola ospitava ben 960 reclusi.  

A partire dal 1990, e soprattutto dopo l’attentato a Falcone e Borsellino, fu istituito un carcere di massima sicurezza, dove, da tutta Italia, venivano incarcerati i mafiosi .

Le proporzioni di questo carcere, che occupa gran parte dell’isola, sono impressionanti, e le mura fanno anche da deterrente psicologico.

La maggior parte della popolazione è composta oggi da poche guardie penitenziarie e alcuni detenuti semiliberi, ma quel che resta del carcere oggi è una piccola questura penitenziaria.  

Ritornando alla nostra escursione, abbiamo iniziato  il giro della costa osservando le antiche peschiere romane tra lo scoglio Scola dove vive una specie di ramarro dai colori azzurri, endemismo dell’isola.

Le coste sono uno spettacolo unico, da non perdere.

La guida ci ha spiegato che la vegetazione è molto secca, tale che anche una cicca mal spenta di sigaretta può causare un incendio devastante. Infatti, quando un prigioniero si rifugiava nelle grotte per scappare, le guardie appiccavano un incendio, e il fuggiasco era costretto a uscire allo scoperto.

Abbiamo visto le fioriture di varie piante: la camomilla, l’elicriso, il papavero giallo (in via d’estinzione e altamente allucinogeno),  la calendula selvatica. Tutte queste piante sull'isola sono caratterizzate da gigantismo.

Siamo arrivati sul promontorio di Punta Secca dove c’è una torretta tristemente famosa. Il motivo è che una sentinella un giorno urlò l'alt a un tedesco su un'imbarcazione . Ma questo non si fermò e allora la guardia sparò e lo colpì, anche se era a 1,8 km dalla costa.  

      

Comunque abbiamo ammirato  il panorama e le onde che si incrociavano sulle scogliere.  

Proseguendo il nostro percorso siamo arrivati fino alla bellissima Cala del Bruciato:  a turno ci siamo affacciati sulla falesia a picco sul mare che era di un colore indimenticabile, mentre su di noi volavano i gruccioni da poco giunti dall’Africa e che nidificano su queste rocce.

La nostra avventura è proseguita e, lasciando la costa, ci siamo inoltrati nell’entroterra. Il sole era cocente, ma, fra uno scherzo e l' altro con la compagnia di Firenze, che ci accompagnava e le spiegazioni della guida,  abbiamo resistito.  

Le coltivazioni sull’isola sono molto variate nel corso del tempo, a causa dei più e meno rapidi cambiamenti di agricoltura voluti dagli agronomi che si sono succeduti nel corso degli anni.

Sulla strada interna ci sono resti della colonia agricola: anche un ex porcile, e il recinto del pollaio grande tre volte lo stadio di S. Siro.

Il sentiero si ricongiunge con la strada principale,siamo ritornati perciò al punto di partenza, da dove siamo andati a mangiare sull’unica spiaggia adibita alla balneazione, quella del paese: “Cala Giovanna”.

L’acqua  però, oltre ad essere gelata, era anche infestata da meduse! Comunque i più temerari, a loro rischio e pericolo, hanno avuto il coraggio di fare il bagno, perché l’acqua era fantastica .

Arriva il momento di andarsene. Alle 16.00 ci  siamo imbarcati al molo, e abbiamo lasciato alle spalle la selvaggia Pianosa, selvaggia, ma incredibile, un paradiso nostrano che non mancheremo di rivisitare ancora tante volte.


Pianosa si confonde con la linea dell' orizzonte

Da Pianosa a Marina di Campo.